Chi mi ha aiutato a volare …

Un ringraziamento particolare lo devo a questi amici, intellettuali, scrittori e storici dell’arte, che hanno creduto in me.

Ugo Moretti

Ugo Moretti

Scrittore

Testo di presentazione della mia prima mostra personale – Roma 1975

La storia dell’Uomo è nella sua mano: è il primo strumento consegnato da Dio per la sopravvivenza, la difesa, il lavoro. La mano fabbrica, scrive, carezza, uccide, stringe i patti, impugna armi e fa sventolare bandiere, evoca musiche, invoca aiuto, raccoglie i frutti della fatica. Nella mano dell’Uomo è scritta la sua sorte. Quella di Giuseppe Rogolino è la scultura: una vocazione e una dotazione native che ha voluto esprimere in questa sua prima personale con la gratitudine verso la mano e le sue simbologie.

Rogolino è giovane, avellinese di nascita e romano d’adozione ma le sue radici artistiche vanno oltre i confini ambientali ed anagrafici: Wildt e Rodin, per esempio, ma più lontano e ancora Michelangelo di cui si avvertono gli indelebili comandamenti specie nelle grandi composizioni in terracotta dove la robustezza degli impianti è volutamente Rondaniniana. Ma quale altro piglio, in questo giovane appena fiorito alla vita che già ne sente i drammi con tanta partecipazione!

Mani aperte e alzate al cielo nell’invocazione suprema, mani avide che afferrano la speranza, mani che si cercano nel dolore, si intromettono nell’amore, protestano. Mani che sono piene di dolore e ricche di forza vitale, che sbocciano dal pensiero, che costruiscono sogni, che medicano le ferite dell’anima, che racchiudono amanti e madri ed aiutano a nascere i figli. Una tematica vastissima, un impegno profondo realizzato con mezzi via via più sicuri. Se si osservano dalla datazione le differenze tra le opere — frutto di due anni di intenso lavoro — si noterà

quanto Rogolino ha perfezionato il suo discorso plastico, ha acquistato sicurezza e rigore, si è impadronito della materia e oggi la lavora con piena autorità.

Specie nei bronzi — cere perdute e irripetibili — la sua fantasia si sbriglia in composizioni eleganti, vivaci, stellari e le modulazioni che la terracotta rende sommesse si evidenziano con squilli di luce, con chiaroscuri di patina, con agilità di movimenti. Il misticismo si scalda di passione e l’impeto giovane di Rogolino

trova campi più liberi per le audacie plastiche. Dal dolore espresso già si avvertono i segni di una rinascita di speranze, i germogli di una nuova gioia di vita. Quella che l’Uomo dovrà crearsi con le proprie mani, per un domani migliore.

Domenico Rea

Domenico Rea

Scrittore e giornalista - Premio Strega

ALLARME E GRIDO

Sono convinto che anche il lettore più evasivo, incontrando la scultura di Giuseppe Rogolino, ha un impatto: si blocca, si ferma, è costretto, forse per la prima volta, ad esplorare se stesso e il mondo che lo circonda, sollecitato da quello che si potrebbe definire il perentorio allarme dell’opera di Rogolino.

Quest’artista, che non ha voluto rinunciare a dire, a raccontare, a raffigurare la storia dell’uomo, pur avendo tutti i mezzi per avviarsi da maestro verso i grandi (o grossi?) quanto vacui discorsi astratti occorrenti, è convinto che l’arte o i tentativi dell’arte o ciò che passa ancora sotto questo svilito fonema, deve concedere una minima possibilità, non di di godimento, ma di lettura. Deve avere una funzione; e contrariamente a quanto si predica da anni da certi sofisti e prevaricatori, deve servire a qualcosa o è meglio buttare i mandriani alle ortiche ed andarsene a passeggio; ove mai di un così fatto piacere si possa ancora usufruire.

Questa tendenza mi sembra scaturisca in maniera massiccia e schiacciante dal lavoro di Rogolino. La sua è una scultura-sonda; un’interpretazione dell’universo ferino che ci opprime e che, prima o poi, ci renderà universalmente schiavizzati.

Di questo mondo oppresso, secondo Rogolino, sono rimasti dei “gridi” e dei “segni”: una semiologia dell’orrore quale ultimo estremo allarme. Le mani, le dita, ossia gli strumenti che hanno ri-lavorato la materia ereditata dalla Natura ed hanno contribuito approssimativamente a civilizzarci, sono diventate impotenti a fermare l’avanzata della morte di massa (ideologica, ecologica, guerresca) e possono solo denunciare lo stato d’impietosa pietà in cui si trova l’uomo: senza aiuti oltremondani, senza alcun conforto che non sia dello stesso calore del proprio corpo.

In quest’universo del dolore, Rogolino lavora e vi compie scavi e ricerche barbariche con variazioni sul tema dell’infinito e senza stanchezza; quasi sperasse che a forza di segnalare i termini dell’abisso, l’avanzata di massa della morte si arresti in tempo.

Si sa però che queste avanzate hanno sempre bisogno della verifica e della distruzione finale. I “lager” – e le mani della scultura di Rogolino – sono, gratta gratta, gli unici depositi delle tirannidi contemporanee.

Valerio Mariani

Valerio Mariani

Giornalista Rai Cultura

Andata in onda Radio Due nel 1976

Di eccezionale precocità, non soltanto testimoniata dalla scultura ma soprattutto dal complesso pensiero che ne determina l’esigenza plastica, è Giuseppe Rogolino che a 18 anni, modellava una drammatica figura umana di sconcertante densità simbolica e di stile ed ora presenta un buon numero di terrecotte e di piccoli bronzi ed alcuni intensi disegni preparatori, di penetrante spirito illustrativo.
La rapida ascesa delle facoltà espressive di questo pensoso e appassionato artista, si muove sul ritmo di un’esigenza morale, intellettuale, ma soprattutto spirituale che talvolta sembra andare oltre le possibilità stesse della scultura, come direbbe Dante: << …per troppo di rigore ». Ma quando il ribollire della problematica filosofica e religiosa del fervido temperamento del giovanissimo creatore di forme plastiche, avrà acquistato misura e piena consapevolezza, l’interpretazione scultorea, si farà certamente ancora più suggestiva, chiarificandosi nel rapporto fra contenuto e forma. Nella mostra attuale, il tema dominante di gran parte delle opere esposte, è l’angoscia dell’uomo nell’interrogativo dialettico della nascita e della morte; una selva di mani crudeli o imploranti, si tendono nello spazio, uscendo dalla materia plasmata febbrilmente, come disperati appelli di naufraghi in un mare di tempesta. Talvolta la complessità del pensiero iniziale, spinge l’artista a documentare particolari più nascosti e ne nasce un conglomerato di forme dalle quali emergono qua e là più chiaramente, gli elementi essenziali della densa immaginazione, altra volta, come avviene soprattutto nei piccoli bronzi, di cui è felice esempio «la luce dell’amore», il concetto è improntato con fervida inventiva e realizzato in un intreccio plastico molto espressivo anche in rapporto all’effetto di luce che l’artista raggiunge nella patinatura del bronzo e nello specchiarsi imprevisto dei risalti plastici, sulle zone splendenti della materia, pittoricamente valorizzata. Proprio in questi bronzi, non soltanto per la preziosità del materiale usato, ma per la ricchezza dei motivi, riconosciamo le migliori doti possedute dal Rogolino che raggiunge risultati sorprendenti nel suggerire la liberazione della materia dal suo peso, attraverso una composizione ardita e intensamente dinamica.

Il secondo “testimone”

Nel 1980, un anno dopo l’inaugurazione del monumento che realizzai in piazza Walter Rossi, la mia vita ebbe una forte virata, come quando una barca a vela si ritrova improvvisamente in una devastante tempesta. Avevo una vita perfetta, perchè era quella che avevo scelto per me. A 25 anni ero un artista professionista già con un bel curriculum alle spalle, avevo un magnifico studio di 300 metri quadri nel centro di Roma ed ero uno di quei rari scultori che vendeva facilmente le sue opere. Ma poi, successe un fatto grave: un mio caro zio che praticamente abitava da noi, me lo ritrovai sui gradini di casa trucidato dalle brigate rosse; era il magistrato Girolamo Tartaglione. 

Non è questa la sede per raccontare la mia vita, ma questo fatto mi fece lasciare tutto: studio, insegnamento e tranquillità. Ero alla ricerca di una giustizia che non avrei più trovato. Dopo due anni cerco di ricostruirmi una vita, inizio a creare la mia famiglia e vinco un concorso alla Rai come grafico al Tg1. Pensai tra me e me, questa è la fine di Rogolino artista. Mentre stavo per cadere in piena depressione, scopro chi era la persona che andavo a sostituire, si trattava di Duccio Guidotti, il capo dei grafici del Tg1 che andava in pensione. Scoprii che lui aveva una storia molto simile alla mia e che era riuscito a far sopravvivere la sua arte. Questo mi diede la forza di far sopravvivere anche la mia.

Ecco perché voglio pubblicarfe la sua biografia in questo mio spazio, per gratitudine verso di lui con una sorta di gemellaggio artistico. Grazie Duccio!

Duccio Guidotti

Duccio Guidotti

Artista

Duccio Guidotti nasce  a Roma il 30 settembre 1920. Sposato è padre di due figli.
Di cultura umanistica ha frequentato la “Scuola libera di nudo” all’Accademia di Belle Arti di Roma .Sono stati suoi maestri Sironi, Siverio, Rivosecco e Piccolo.
1939 Interrompe gli studi a causa dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale. E’ prima soldato nel 1° Reggimento dei Granatieri di Sardegna, poi entra a far parte del gruppo dei Pittori di Guerra, ma anzicchè imboscarsi al Ministero della Guerra va in prima linea a documentare con matita, pennello e macchina fotografica l’evento e, soprattutto, i combattenti con la coerenza di un artista che dell’indipendenza e della ricerca ha fatto ragione di vita. Espone; a Venezia alla XXIII Biennale;  a Roma al Palazzo delle Esposizioni, a Vienna alla Quadriennale.
1943 – 1947 L’armistizio con gli Alleati lo trova nell’isola di Rodi. Miracolosamente con un gruppo di soldati sfugge ai Tedeschi. S’imbarca per la Turchia, da cui crede sia possibile rientrare in Italia con un ponte aereo, ma invano. Sopravvive il quel paese assieme ad alcuni commilitoni grazie alla pittura, finché non viene catturato dai Francesi che lo consegnano agli Inglesi,  da questi ultimi è tradotto in un campo in Egitto nel quale vengono concentrati i superstiti dell’Egeo considerati cobelliggeranti. Nei lunghi anni di prigionia il comando inglese riconosce il suo talento pittorico consentendogli, in via straordinaria, di continuare a dipingere, anzi gli fornisce gli strumenti per farlo. Alcune sue opere di questo straordinario periodo furono sottoposte  alla censura militare angloamericana. Alcune furono trattenute, mentre le restati opere: appunti, schizzi, disegni, acquerelli e anche quadri, gli fu consentito di portarle in patria. Sul recto di ogni foglio o tela vi è il timbro apposto dal comando inglese con la sigla del campo di prigionia: PW MIDDLE EAST 101
1947 – 1948 Rientrato dalla prigionia in Italia riprende l’attività pittorica partecipando a numerose esposizioni collettive e personali, riscuotendo anche il consenso unanime della critica.
1949 – 1972 Durante questi venti anni sabbatici Duccio Guidotti è alla continua ricerca  di altri mezzi espressivi e linguaggi. Estende il suo campo d’azione al cinema ( cartoni animati, documentari, consulenze per il colore nei film),  alla pubblicità e, soprattutto, alla televisione, (fa parte dell’organico della Rai dove diventa responsabile del Settore grafico e animazione del Telegiornale, e collabora anche con la  Radio Televisione Svedese) realizzando memorabili servizi televisivi e rubriche giornalistiche come “Quello che dicono i giornali” e “Rotocalchi in poltrona” che segnarono un’epoca nella informazione televisiva pubblica.
1973 – 1988  La sua pittura ha subito negli anni di distacco e di riflessione una profonda evoluzione e maturazione.  Il 1973 è l’anno del rientro ufficiale nel mondo della pittura con una fortunata mostra alla Galleria Canova fortemente voluta da famiglia, colleghi, estimatori e critici come Antonio Donat Cattin e, soprattutto, Valerio Mariani che intese ricucire lo strappo di questi vent’anni ricollegando la sua critica all’ultima mostra del giovane Guidotti nel ’48, all’ormai maturo artista con un’appassionata presentazione del catalogo della mostra nel ’73.
Sono di questi anni alcuni dei riconoscimenti pubblici e premi come il Viareggio: Premio di pittura Targa d’oro abbinato al 45° Premio letterario 45 esima  edizione.
1989 – 2002 E’ un periodo dedicato principalmente alla realizzazione di affreschi in Italia e all’estero tra cui ricordiamo a Damasco (Siria) – Convento dei Francescani Eglise Saint Antoine San Francesco  “Cantico delle creature”; l’anno seguente a Roma – Santa Maria in Via.  Il miracolo di Santa Maria in Via;  a Mar Mousa (Nebek, Siria) Convento di San Mosé l’Altissimo – I sette dormienti di Efeso.
Nel 2001 la Germania  per meriti artistici e ideali conferisce  a Duccio Guidotti  “La Cittadinanza Europea “ … per volere- cita così la motivazione – con la sua opera chiaramente riunire l’Europa…”  ovvero, grazie al linguaggio universale della pittura popoli di lingua e cultura differenti e per molti versi distanti possono comunicare tra loro. Il riconoscimento fu voluto fortemente dalla città di Volkertshausen che gli commissionò un grande affresco.
Nel 2001 a Bolsena ( Viterbo) affresca la Sala del Consiglio Comunale: Le quattro stagioni
2003 – 2006 Continua la sua opera di rinnovamento dedicandosi prevalentemente al ritratto con lo stesso entusiasmo e con l’identica foga dei suoi vent’anni concentrando la sua attenzione sulla figura umana in ogni sua forma e rappresentazione.
Cronologia attività artistica

1939 Il Quirinale acquista un suo quadro ( Il patrimonio artistico del Quirinale, la quadreria e le sculture, a cura di A.B. Montura A Damigella, 1991)
1942 Roma. Palazzo delle Esposizioni. Collettiva pittori di guerra
1942 Venezia. XXIII Biennale  ( Catalogo II edizione)
1943 Budapest. Collettiva
1943 Vienna. Quadriennale
1946 Roma. Galleria San Bernardo. Personale
1946  Roma. Palazzo Venezia. “Trenta artisti italiani oggi “ 
1947 Roma – Galleria San Bernardo – Collettiva
1947 Roma – Galleria San Bernardo – Personale
1947 Roma – Palazzo di vetro – Mostra del ritratto.Collettiva
1948 Perugia –Mostra Nazionale Premio Perugia. Collettiva
1948 Roma – Galleria San Bernardo – Personale

1973 Roma – Galleria Canova Mostra personale che segna il  ritorno dell’artista  al pubblico
1974 Viareggio Premio di pittura Targa d’oro abbinato al 45° Premio letterario 45 esima  edizione
1975 Roma. 1° Premio di Pittura e sport)
1975 Reggio Calabria. II Premio Città di Reggio
1978 Helsingborg (Svezia). Galleria 1-1. Mostra personale
1981 Roma –  Galleria Fidia. Personale
1982 Aosta – Saletta d’Arte Comunale. Personale
1982 Bolsena – Galleria La Monaldesca. Personale
1983 Padova – Galleria Selearte 1. Personale
1983 Belluno – Sala della cultura E.de Luca. Personale
1985 Milano. Galleria d’arte Renzo Cortina (Libreria Cavour). Personale
1991 Roma – Spiritualità, storia e arte nella chiesa delle SS. Stimmate: Mostra dei Cartoni dell’affresco della pittura murale nella chiesa di S. Antonio a Damasco dei Frati Francescani – presentazione al catalogo del professor Strinati
2003 Bergamo Galleria Comunale

Affreschi e Murales

1944 Gaza (Palestina) Mensa campo di concentramento cobelligeranti. Murales La patria ferita 
1948 Roma Aerostazione Avio Linee Italiane  LAI ( ora Alitalia) Via Bissolati- Esecuzione di un murale (collage e tempera )
1989 Damasco (Siria) – Convento dei Francescani Eglise Saint Antoine San Francesco  “Cantico delle creature”
1990 Roma. Santa Maria in Via.  Il miracolo di Santa Maria in Via  
1991 Livata ( Roma) Cimitero. Cappella privata famiglia Bernardini – Deposizione
1993 Mar Mousa (Nebek, Siria) Convento di San Mosé l’Altissimo – I sette dormienti di Efeso
1998 Roma. Casa Nicchiarelli. Piccolo Affresco
1998 Roma. Cappella della Fondazione Don Carlo Gnocchi – Mater Santifici Doloris
1999 Volkertshausen ( Germania). Centro culturale della Chiesa Vecchia –  La curiosità
2001 Bolsena ( Viterbo). Sala Comunale.  Le quattro stagioni
2002 Tocco Casauria  (Pescara ). Casa de Santis. Luce
2002 Roma. Casa Accascina Gualandi.   17,15.