Il Divin Maestro

Vetrata policroma

Cappella dell’Adorazione Perpetua

San Giovanni B. De La Salle

Roma  – anno 2015

“Ciò che il libro ci dice con la parola, l’icona ce lo annuncia con il colore e ce lo rende presente”. (Concilio del 860)

È importante considerare questo: tutte le opere puramente artistiche ben fatte o realizzate con scarsa capacità tecnica, si situano in un circolo senza soluzione di continuità come un circuito chiuso: l’artista, l’opera d’arte da lui eseguita e lo spettatore. L’icona invece è un veicolo sacramentale perfetto, che spezza il circolo, per affermarsi libera e indipendente sia dall’artista quanto dallo spettatore. E lo spettatore in preghiere torna alla sua essenza originaria di figlio di Dio.

“Il mistico s’inchina nell’atto di preghiera e di adorazione davanti a qualcosa di non misurabile e onnipotente per cui l’opera d’arte diviene il luogo teofanico o delle manifestazioni divine che fanno scomparire lo spettatore e l’artista che ha fatto l’icona, perché è la tradizione che parla.” (La Presenza Divina nell’Icona – T. Palamidesi 1968)

Era necessaria questa introduzione, per capire meglio quello che non scriverò in questa breve relazione; perché un’immagine sacra, come quella creata per la vetrata del “Divin Maestro”, non si può spiegare a parole, ma scoprire nel tempo e nella meditazione.

Lo stesso artista, prima di disegnare un’icona, si raccoglie in meditazione e lascia che il Creatore gli suggerisca la sua volontà. Quindi anche lui, come tutti gli altri, scoprirà  solo successivamente ciò che l’immagine sacra gli vorrà rivelare. Ecco perché in quest’opera non si riconosce lo stile dell’artista, perché lui è solo strumento, non il creatore.

Ora cerchiamo di capire insieme.

Guardando la vetrata, quello che risalta immediatamente agli occhi è la suddivisione in quattro aree della composizione. Al centro il “Divin Maestro”, il Cristo Pantocratore benedicente racchiuso in un cerchio, un’ostia di luce divina  che vuole simboleggiare il “quinto pane”.

(Concetto che si capirà meglio quando sarà realizzato il nuovo altare della Cappella dell’Adorazione, nella cui base saranno visibili i simboli cristiani della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Elemento chiave che servirà anche a definire la composizione finale, che riporta all’ostensorio vero e proprio: l’altare con i quattro pani e il quinto, l’ostia con il Pantocratore, sovrapposto e sospeso nella luce dorata dello Spirito.) Ai lati del volto di Cristo le lettere greche: in alto a sin IC e a destra XC, che rispettivamente indicano Iesus e Cristos. il rosso scarlatto della tunica indica la natura divina (colore della tunica dell’imperatore romano che si proclamava dio), ricoperta dal mantello (imation) di colore blu-verde che indica l’umanità (la natura umana di Cristo riveste la sua natura divina).

Nelle pagine del libro si leggono in greco (ΕΓΩ (Ε)ΙΜΙ / ΤΟ (ΦΩC) Τ(ΟΥ) ΚΟC(ΜΟΥ) / Ο Α(ΚΟΛΟΥ)Θ(Ω)ΝΕΜ(ΟΙ) / ΟΥ(ΜΗ) (Π)ΕΡΙΠΑ(ΤΗCΗ) / ΕΝ(ΤΗ)ΣΚΟΤΙ(Α) / ΑΛΛΈ)ΞΕΙ (ΤΟ ΦΘC ΤΗC Ζ)ΩΗC.ΙΩ(ΑΝΝΗC), le parole del Vangelo secondo Giovanni 8, 12. “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. Questa “luce” è molto evidente in tutto lo sfondo dell’opera, sotto forma di grandi cerchi dorati sovrapposti, volti a creare il soffio della vita, l’alito dello Spirito Santo.

A sinistra Giovanni Evangelista, il pescatore del lago di Tiberiade, discepolo di Giovanni Battista. Autore del quarto vangelo, il discepolo prediletto, a cui Gesù affidò il compito di sostituirlo nei doveri di figlio verso Maria. L’unico degli apostoli presente alla morte di Gesù in croce. Morta Maria, andò a Efeso e resse le chiese dell’Asia. È anche l’ultimo degli apostoli a lasciare la vita terrena. L’agiografia dice che Giovanni, perseguitato da Domiziano, uscì illeso dal martirio. Relegato nell’isola di Patmos, scrisse l’Apocalisse. Morto Domiziano, tornò ad Efeso a soli 70 chilometri da Patmos ove morì quasi centenario.

A destra la figura intera di Maria con il bambino. Quest’immagine è ispirata alla grande icona della chiesa della Panaghia a Nauplia in Argolide, che visito da più di quarant’anni. Nell’iconografia greca Maria è rappresentata in vari modi e in ognuno di questi ha un appellativo diverso. La Madonna della vetrata è “Eleousa” (La misericordiosa). Il nome fa riferimento all’atteggiamento della Vergine verso l’Umanità, conosciuta in occidente come Madre di Dio della Tenerezza, che deriva dal nome russo dell’icona Umilenye, che si riferisce all’atteggiamento dolce verso il Bambino.

Tutti gli elementi della composizione artistica “poggiano” su lastroni di legno, come ricordo della tavola dell’ultima cena, pavimento spirituale di tutta l’umanità. Qui spuntano quattro piccoli alberelli di melograno con i loro frutti colorati e maturi, che simboleggiano i frutti dell’insegnamento divino. E infine, al centro in basso, troviamo l’uva, da cui si ricava il vino dell’Ultima cena simbolo del sangue di Cristo, davanti alla mela della Genesi, seminascosta, che sta a ricordare il pericolo del male sempre presente, ma sottomesso ai piedi di Dio.

Infine, una lunga lastra azzurra in alto, con il brano: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.” Gv15, 5, trattiene con la forza del “verbo” tutta la composizione.

San Giovanni  Battista de la Salle, il santo a cui è stata dedicata la chiesa omonima, non è presente con la sua immagine ma nella sua missione di vita: l’insegnamento. Infatti, tutta la vetrata tende ad evidenziare il ruolo nobile e fondamentale dell’insegnamento. Iniziando dal Cristo, il Divino Maestro, che irradia uomini e cose trasfigurando anche loro della sua trasfigurazione. Giovanni Evangelista, il magnifico risultato di un discepolo che ha avuto come maestri prima Giovanni Battista e poi il Messia stesso. E infine l’immagine della Vergine Maria – icona dell’incarnazione tipo della Chiesa e della nuova creatura – nella sua tenerezza, nel suo sguardo pieno di amore rivolto al Figlio, per insegnarci a lasciarlo diventare il Signore della nostra vita. Gv 8,28: «Come mi ha insegnato il Padre (didàskein), così io parlo»

Vorrei chiudere questa breve condivisione con una bella citazione di San Basilio: «Quello che la parola comunica attraverso l’udito, il pittore lo mostra silenziosamente». Spero, con l’aiuto di Dio, di esserci riuscito.

Roma, 31 gennaio 2015                          Giuseppe Rogolino